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    Il Comune è legittimato ad introdurre per i centri storici limitazioni merceologiche e dimensionali

    di

    a cura della Redazione

     

    Il fatto: è proposto ricorso avverso il Piano Urbano del Commercio di un Comune ligure nella parte in cui ha previsto che: “non è consentita l'apertura di medie e grandi strutture di vendita alimentari e non alimentari e di tipologie ad esse assimilate" e che “le dimensioni massime per di superficie di vendita consentite per gli esercizi sono alimentare mq. 100, non alimentare mq 150".

     

    La decisione: per il TAR ricorso non è fondato. Le norme censurate non precludono l’esercizio dell’attività commerciale tout court ma limitano soltanto ed in relazione ad una ristretta area costituita dal centro storico individuato dall’art. 1 del piano, l’insediamento di strutture di vendita più ampie di degli esercizi di vicinato.

    Con i primi due motivi si sostiene che il Comune non potrebbe introdurre limitazioni così drastiche da vietare taluni esercizi commerciali in determinate zone e comunque non potrebbe farlo previa programmazione regionale. Il TAR sostiene che il motivo sia infondato. 

    Per quanto riguarda il contrasto con le norme costituzionali, è sufficiente considerare il testo dell’art.41 della Costituzione che individua una serie di limiti all’esercizio dell’attività economica privata per escludere il lamentato contrasto con i parametri costituzionali.

    Da altro punto di vista deve escludersi il contrasto con le normative statali di recepimento della normativa dell’Unione europea invocate dai ricorrenti. A tal riguardo l’art.3, comma 1, d.l. 138/11 stabilisce: “1. Comuni, Province, Regioni e Stato, entro il 30 settembre 2012, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica”.

    Dall’esame di tale disposizione si evince come l’utilità sociale, l’ambiente, il paesaggio e il patrimonio culturale costituiscano altrettanti limiti alla liberalizzazione

    L’art. 31, comma 2, d.l. 201/11 consente la possibilità di interdire o limitare l’attività economica e commerciale in determinate aree qualora ricorrano gli interessi indicati dalla norma stessa, tra i quali merita particolare menzione l’ambiente urbano.

     

    Massima: È intuitivo, infatti, che talune tipologie merceologiche o dimensionali possono avere impatti devastanti sugli equilibri spesso precari dei centri storici delle città. Il riferimento al potere di localizzazione e di apertura consente pertanto ai Comuni, in sede di pianificazione commerciale la possibilità di vietare in determinate zone l’insediamento di strutture di vendita che abbiano un dimensionamento ritenuto incompatibile con le esigenze di tutela del centro storico stesso.

    Infatti la localizzazione può avvenire non soltanto in positivo, mediante indicazione delle zone in cui è possibile insediare una attività ma anche in negativo impedendo la collocazione in determinate zone.

     

    In conclusione non può dubitarsi dell’attuale possibilità per il Comune, in sede di adozione del piano urbano del commercio, di limitare l’insediamento di talune tipologie dimensionali di attività.

    I ricorrenti sostengono, da altro punto di vista, che il potere pianificatorio comunale debba svolgersi previa adozione della programmazione regionale, la quale dovrebbe autorizzare l’esercizio dei poteri comunali. La tesi è destituita di fondamento.

    L’art. 26, comma 3, l.r. 1/07 infatti prevede che i Comuni diano concretezza alle disposizioni di cui al comma 2, le quali legittimano le limitazioni agli insediamenti citate, mediante il piano commerciale comunaledi cui all’art. 5.

    Il piano commerciale comunale, pertanto, è autorizzato ad introdurre direttamente le limitazionidi cui al comma 2 senza attendere la programmazione regionale.

     

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