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    L’apertura di grandi strutture di vendita e il silenzio-assenso

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    Il Consiglio di Stato con sentenza n. 4472/2016 ha ritenuto che il Comune, erroneamente, ha sostenuto che l’assenza di un apporto istruttorio spettante ad una delle amministrazioni coinvolte nel procedimento conseguente all’istanza (di un privato) impedisse la formazione del titolo commerciale per silentium, quando invece il modello del silenzio-assenso è richiamato proprio per ovviare a una tale assenza quando non sia imputabile al privato.

    Un Comune aveva negato che sull’istanza autorizzativa presentata da una società per l’apertura di una grande struttura di vendita da realizzare si fosse formato il silenzio-assenso ai sensi della normativa regionale vigente in materia di commercio in sede fissa.
    Con la sentenza il Tribunale amministrativo adito accoglieva il ricorso della società, ritenendo che il silenzio-assenso si fosse invece perfezionato, perché erano decorso il termine di legge regionale di 120 giorni dall’indizione della conferenza di servizi sulla domanda della medesima società.
    Inoltre, il giudice di primo grado riteneva insussistenti le ragioni ostative alla formazione del titolo per silentium addotte dal Comune nella nota impugnata, che veniva conseguentemente annullata.
    L’amministrazione comunale contestava questa statuizione del TAR e presentava appello.
    Il Consiglio di Stato respinge l’appello.
    Per i giudici amministrativi di secondo grado deve escludersi che l’errata convocazione del rappresentante della Regione possa impedire la formazione della fattispecie legale di silenzio-assenso.
    Come infatti ben evidenziato dal giudice di primo grado, laddove l’errore commesso dal Comune nel convocare il rappresentante regionale alla conferenza di servizi fosse considerato ostativo alla formazione del silenzio-assenso le finalità di semplificazione procedimentale e responsabilizzazione delle amministrazioni competenti sarebbero facilmente frustrate. A confutazione degli assunti del Comune è agevole osservare che la normativa regionale vigente si limita a prescrivere che queste amministrazioni trasmettano «alla Regione» le istanze autorizzative. Dacché è evidente che sono queste ultime, una volta informate del procedimento, che devono provvedere ad individuare al loro interno l’unità organizzativa competente. Un simile onere non è per contro addossato al Comune e tanto meno all’operatore economico che ha presentato a quest’ultimo la domanda e che sarebbe in ultima analisi il soggetto pregiudicato da declinatorie reciproche di competenza in una fase procedimentale sottratta al suo impulso.
    Inoltre, la censura, con la quale il Comune esclude che in assenza del necessario parere regionale l’istanza autorizzativa possa considerarsi «documentata a norma», e possa dunque determinare la formazione in via tacita del titolo commerciale, va disattesa per la sua infondatezza.
    L’interpretazione propugnata dall’amministrazione comunale tende ancora una volta a svuotare di significato il silenzio-assenso, invece previsto dal legislatore regionale proprio a contrastare stalli o inerzie procedimentali, come quelli verificatesi nel caso di specie.

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